Oggi vi scrivo una lettera molto personale, una lettera su cosa significhi per me essere ebreo e intraprendere una missione che mi porterà nella "Zona Rossa" durante lo Yom Kippur, il giorno più sacro del calendario ebraico.
Non scrivo quasi mai "come ebreo". Condivido la stanchezza di essere costretto a mettere al primo posto i sentimenti ebraici, quando un genocidio è stato commesso in nome dell'"interesse nazionale" sionista e quando gli attivisti sono stati arrestati, torturati e deportati in nome della nostra "sicurezza".
Ma oggi mi sono sentito in dovere di scrivere su quel registro, in quanto uno dei pochi ebrei impegnati in questa missione, che riunisce oltre 500 persone provenienti da più di 40 paesi in tutto il mondo.
Credo che la scelta di questa flottiglia non sia casuale. Al contrario, ritengo sia una benedizione che l'intercettazione si avvicini all'inizio dello Yom Kippur, il nostro giorno annuale di espiazione, che ci invita a riflettere sui nostri peccati e su cosa possiamo fare per ripararli nello spirito del tikkun olam.
Come possiamo espiare ciò che è stato commesso in nostro nome? Come possiamo chiedere perdono per i peccati che si moltiplicano di ora in ora, mentre bombe e proiettili piovono su Gaza? Come potremmo prendere sul serio il nostro mandato di "guarire il mondo" quando lo Stato di Israele è così determinato a distruggerlo?
Se c'è una parte della Torah che ricordo ancora, è questo obbligo che ci impone: "Giustizia, giustizia perseguirai". Come potremmo restare a guardare mentre lo Stato di Israele perverte questo sacro obbligo, sovrintendendo all'olocausto del popolo palestinese?
Mi sono unito a questa flottiglia come qualsiasi altro delegato, per difendere l'umanità, prima che sia troppo tardi. Ma durante lo Yom Kippur, mi viene ricordato che sono qui anche perché la mia eredità ebraica lo richiede.
Da adolescente, mio nonno Jacques Adler (nella foto) si unì alla resistenza parigina contro i nazisti, rischiando la vita per sabotare le loro operazioni, mentre i suoi amici e familiari venivano mandati a morire nei campi di concentramento. Questa è la tradizione alla quale sono chiamato e la definizione di “giustizia” che sento fedele alla mia identità ebraica, poiché la stessa rabbia genocida che ha preso di mira i miei antenati è ora assunta dalle sue principali vittime.
Yom Kippur è un giorno di digiuno, un modo per manifestare la nostra espiazione in forma fisica. Ma negli ultimi due anni, la popolazione affamata di Gaza non ha avuto altra scelta che rinunciare al pane quotidiano. Se le forze israeliane ci intercettassero durante lo Yom Kippur, allora vediamo cosa significa la vera espiazione. Non digiunare in tutta comodità mentre si fanno morire di fame i propri vicini. Non pregare in sicurezza mentre si sganciano bombe sulle loro teste. Espiazione significa azione.
Quindi, mentre stasera tramonta il sole e inizia il digiuno, spero che i miei confratelli ebrei si uniscano a me nel ridefinire il loro approccio all'espiazione, insieme alla preghiera silenziosa, e verso un'azione coraggiosa per porre fine a questo orribile genocidio.
G'mar chatima tova.
David Adler
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Cari amici, temo che questa sarà l’ultima lettera che vi scrivo dalla Global Sumud Flotilla — ora a sole 120 miglia nautiche dalle coste di Gaza.
La scorsa notte, diverse navi da guerra israeliane hanno minacciato il nostro convoglio. Hanno attaccato le nostre imbarcazioni, intimidito l’equipaggio e disattivato le comunicazioni. Riconosciamo bene queste tattiche dalle missioni precedenti della Flotilla. Sappiamo che sono il preludio a ciò che abbiamo a lungo temuto: il rapimento illegale da parte di Israele in acque internazionali.
Mentre scrivo, ci stiamo preparando a un attacco imminente. Conosciamo le procedure. Conosciamo i protocolli. Quando saliranno a bordo delle nostre barche, non opporremo resistenza. Siamo pronti. Dai nostri cellulari e dalle nostre videocamere cercheremo di documentare tutto. Trasmetteremo le immagini al mondo. E conteremo su di voi per diffondere la notizia di questo attacco criminale.
Ma prima che ci intercettino, voglio dire qualcosa – banale forse, consolatorio forse – ma in cui credo profondamente: anche se questa volta non completeremo la missione, la Flotilla Sumud ha già ottenuto moltissimo. Ha riportato ancora una volta l’attenzione del mondo sulla sofferenza del popolo di Gaza. Ha unito terra e mare in una mobilitazione di milioni di persone. Ha costretto stati riluttanti ad affrontare l’assedio illegale che ha affamato i palestinesi e li ha privati del diritto all’autodeterminazione.
Soprattutto, la Flotilla ha dimostrato che persone comuni – medici, pescatori, studenti, giornalisti, avvocati, religiosi e pensionati da 44 paesi – possono unirsi non solo nell’indignazione morale, ma anche nell’azione concreta. Siamo salpati da Barcellona non solo come gesto simbolico di solidarietà, ma come atto di costruzione: creare un corridoio umanitario permanente per raggiungere il popolo di Gaza via mare. E anche se le nostre barche verranno intercettate, quell’idea non potrà essere fermata. La richiesta di un corridoio sopravvivrà a questa Flotilla; una nuova flotta è già in viaggio dalla Corsica per rompere l’assedio. Il nostro movimento cresce.
Quando le autorità israeliane saliranno a bordo delle nostre navi nelle prossime ore, sappiate che commetteranno un atto di pirateria. Violeranno la sovranità dei mari. Ostacoleranno una missione pacifica e umanitaria sotto gli occhi del mondo intero. Vediamo se riusciranno a giustificarlo. Vediamo come spiegheranno alla comunità internazionale che il nostro umile tentativo di portare cibo ai bambini affamati di Gaza rappresenta una minaccia alla loro sicurezza nazionale. Nessuno ci crederà. La propaganda israeliana non convince più.
Da qui, a bordo dell’Ohwayla, posso dire che non temiamo intercettazioni, interrogatori o incarcerazioni. Temiamo piuttosto un mondo in cui questi rapimenti diventino routine. Un mondo in cui gli umanitari sono trattati come criminali. Un mondo in cui portare cibo a bambini affamati viene chiamato terrorismo.
Quindi, quando sentirete che siamo stati intercettati – e lo sentirete, nelle prossime ore – vi prego di non temere per noi. Sapevamo bene cosa ci attendeva. Abbiamo scelto con occhi aperti e cuori pieni. Al contrario, solleviamo un grido di rivolta!
Fate quei post su Instagram, urlate contro i nostri patetici rappresentanti, e unitevi alla nostra richiesta per un corridoio ora. Non come un sogno, ma come politica concreta. Le infrastrutture che non siamo riusciti a completare, gli stati devono costruirle. L’assedio che siamo venuti a spezzare, devono finirlo una volta per tutte.
Se c’è una cosa che ho imparato in questo viaggio, circondato da straordinari nuovi amici provenienti da ogni angolo della terra, è questa: l’azione collettiva è davvero una cosa meravigliosa. Quando rifiutiamo di accettare l’inaccettabile, quando mettiamo i nostri corpi tra l’ingiustizia e le sue vittime, possiamo davvero alterare il corso della storia, anche se modestamente.
Credo che più di ogni altra cosa, voglio ringraziarvi per il vostro sostegno, il vostro amore e la vostra compagnia in questa missione. Spero che non passerà troppo tempo prima di rivedervi dall’altra parte.
Con affetto,
David
DAVID ADLER: unica persona di religione ebraica che si è imbarcata sulla Flotilla è nipote di Jacques Adler che a 30 anni ha rischiato la vita per compiere azioni di resistenza contro i nazisti a Parigi. E' co-cordinatore del movimento Progressive International
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